Penny auctions: un modello di business 2.0

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In questi ultimi anni è letteralmente esploso il fenomeno delle aste online, in particolare delle cosiddette penny auctions, o aste al centesimo. Basta una semplice ricerca su Google e ci si trova davanti una lista lunghissima di siti che reclamizzano prodotti a prezzi nettamente inferiori a quelli di mercato. E sui blog proliferano le discussioni in merito, tra commenti entusiastici, lamentele e tentativi più o meno riusciti di spiegare il funzionamento di questa particolare forma di e-commerce. Addirittura sono nati portali dedicati, blog che mettono in guardia dalle truffe o diffondono improbabili strategie per massimizzare le vincite, servizi che indicizzano i siti di aste a pagamento e ne riportano statistiche, classifiche, storico delle vincite. Tanto per dare un’idea, allpennyauctions.com rileva l’esistenza di più di mille siti, di cui la metà circa sono attivi oggi (dati aggiornati al 22/06/2012).

C’è una folta webgrafia che spiega il meccanismo su cui si fonda questo tipo di vendita. Si tratta comunque di un sistema piuttosto semplice: l’utente si registra al sito, acquista un pacchetto di puntate (o bid) e può cominciare subito a partecipare alle aste che ritiene più interessanti. A differenza delle aste tradizionali, i prodotti non hanno un prezzo di partenza fissato dal venditore, ma il valore di ogni oggetto parte da zero e sale di un centesimo per ogni puntata effettuata. Alla prima offerta inizia un conto alla rovescia, solitamente della durata di qualche decina di secondi, che ricomincia ad ogni nuova puntata. Allo scadere del timer, si aggiudica il prodotto l’utente che ha puntato per ultimo. La maggior parte delle aste si chiude in effetti con la vendita di oggetti a costi apparentemente stracciati. Tuttavia, ogni puntata viene acquistata a un prezzo che può variare dai 10 ai 70 centesimi circa, a seconda del sito che offre il servizio e delle varie promozioni, ma nel momento in cui viene giocata fa aumentare il valore del prodotto di un centesimo soltanto. Per fare un esempio, se un utente si aggiudica un iPad a 100€ significa che sono state fatte 10.000 puntate; ipotizzando un valore medio di 40 cent a puntata, il sito in questione ha un ricavo di 0,40€ x 10.000, ossia di 4000€, più il prezzo di vendita dell’iPad, in questo caso i 100€ di cui sopra. E’ facile intuire quali siano le prospettive per un business di questo tipo: i clienti vengono attratti dalla possibilita di accaparrarsi prodotti hi-tech (ma si vende un po’ di tutto, perfino le automobili) facendo ottimi affari, e naturalmente maggiore è il numero dei partecipanti (e delle puntate), maggiori sono i guadagni per il gestore.

Si tratta di un modello a dir poco geniale, ma allo stesso tempo “diabolico”, soprattutto per gli utenti più sprovveduti. Succede anche che alcuni giocatori, un po’ per fortuna, un po’ per abilità, riescano a fare acquisti davvero vantaggiosi. Ma la vittoria di uno è pagata da tutti gli altri partecipanti che hanno fatto una o più puntate, dato che queste non sono in alcun modo rimborsabili. E’ più o meno come se tutti pagassero una parte di un prodotto che però finirà nelle mani di uno solo (per questo motivo le aste al centesimo vengono chiamate anche, in modo forse un po’ eufemistico, aste sociali). E infatti ci sono anche persone che pur continuando a giocare (e a pagare) non riescono a portare a casa nulla, o che si trovano a dover corrispondere un prezzo a prima vista conveniente, ma che sommato al valore delle puntate, anche di aste passate, oltre a IVA e spese di spedizione, può risultare molto vicino, se non superiore, a quello di listino di un qualunque negozio.

In alcuni siti, ad esempio su madbid.com o prezzipazzi.com, c’è anche la possibilità di partecipare ad aste per aggiudicarsi dei pacchetti di puntate extra. Questa è senza dubbio una strategia di marketing molto raffinata: si vende un bene che al gestore non costa nulla, e in più permette di guadagnare ulteriormente sulle aste successive. Infatti, anche se alcuni bid risultano gratuiti per un utente, una volta giocati contribuiscono a far alzare il prezzo di vendita e il numero di puntate complessive da parte degli altri giocatori.

Per la facilità con cui si possono spendere soldi quasi senza accorgersene, le scarse probabilità di vittoria e la concreta possibilità di perdere denaro senza ottenere nulla, la pratica delle aste al centesimo è stata accomunata da alcuni a quella del gioco d’azzardo (in effetti gli stessi termini utilizzati, come “puntata”, “vincita” ecc…richiamano in maniera inequivocabile il campo semantico del gioco). Altri aspetti che suscitano le perplessità di blogger e associazioni dei consumatori sono la pubblicità, spesso considerata ingannevole, e la presunta non-trasparenza dei sistemi di gestione di puntate e vincite. Si tratta comunque di un’attività del tutto legale, che muove un volume d’affari complessivo di 380 milioni di dollari americani, ed è in continua crescita. Per qualcuno può anche essere un’occasione per risparmiare, o semplicemente per divertirsi, l’importante è essere consapevoli di come funziona il sistema e dei rischi che comporta.

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